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Per Aspera Ad Veritatem n.3
Direzione Investigativa Antimafia - Relazione semestrale (primo semestre 1995)




Le attività investigative condotte nei primi mesi del 1995 hanno confermato l'ampia e consolidata rete di connivenze di cui dispongono le organizzazioni mafiose nei vari settori della società e del mondo economico e finanziario. In ogni settore dispongono di referenti validi professionalmente, i quali o sono ufficialmente affiliati dall'organizzazione mafiosa o, pur non formalmente legati ad essa, sono disponibili ad operare affinché gli obiettivi perseguiti siano raggiunti.
I gruppi mafiosi continuano a mantenere la forza della loro specifica cultura tradizionale, nello stesso tempo, a produrre innovazioni collegate con le culture organizzative, manageriali, finanziarie e tecnologiche più avanzate, riuscendo in tal modo a mantenere un equilibrio efficace tra le peculiari "rigidità mafiose" ed i continui cambiamenti legislativi, economici e sociali.
Essi riescono ad attingere a risorse umane e culturali al fine di perpetuarsi e rafforzarsi utilizzando strumenti di minaccia ed aggressione a più livelli e con gradazioni eterogenee, a seconda delle necessità.
Malgrado la fase di crisi che le organizzazioni mafiose stanno attraversando in questi primi anni '90 (pensiamo agli arresti eccellenti di boss di primo piano, ai processi penali in corso, alla collaborazione sempre più frequente di pentiti, ecc.), le consorterie mafiose dànno comunque prova di capacità di tenuta, di ristrutturazione, di reinvestimento e di rilancio.
Tutto ciò sembra avvenire senza la ricerca di un aperto scontro con lo Stato: non si sono infatti registrate, nel periodo di riferimento, azioni criminali eclatanti e dirette contro esponenti delle Istituzioni.
Si assiste ad un'aggressione mafiosa meno visibile e forse più penetrante in ampi settori della società e dell'economia. Se infatti la forza della violenza mafiosa sembra essersi astenuta dal commettere azioni forti, la stessa si esprime attraverso modalità di perpetuazioni più sottili (si pensi agli affari economico-finanziari di cui i diversi gruppi mafiosi hanno dato prova) ma anche più tradizionali (per esempio le aggressioni intimidatorie attivate attraverso gli incendi dolosi, gli attentati, ma anche le estorsioni, ecc.).
Il ricorso a minacce e intimidazioni, che perdura come strategia principale di aggressione allo Stato e alla società civile anche in questo primo semestre del 1995, sembra essere collegato ad una sorta di crescente preoccupazione della mafia di perdita di consenso e di influenza nei territori da essa considerati di importanza vitale per la sua sopravvivenza.
L'assenza di una accentuata conflittualità tra i diversi gruppi mafiosi nei confronti dello Stato non ha certo fatto desistere le organizzazioni criminali dal perpetuare azioni minacciose nei confronti sia della società civile sia dell'economia.
Le azioni criminali di stampo mafioso suscitano sentimenti di forte insicurezza sociale: esse, infatti, producono nella maggior parte dei casi, un forte "rumore" il quale, contemporaneamente, veicola un "messaggio" chiaro di volontà di predominio, di marcare la propria signoria territoriale.
In tal senso vanno interpretati gli episodi di intimidazione registrati nel primo semestre del 1995, nei confronti di vari esponenti della società civile.
Azioni che hanno interessato aree geografiche diverse a testimonianza della capillare radicalizzazione del fenomeno.
Ci riferiamo agli episodi intimidatori subiti da diversi magistrati delle procure pugliesi, campane, calabresi e siciliane. Per esempio, l'avvertimento mafioso ai danni del giudice Amelio a cui è stata "recapitata" la testa di un agnello. Ancora, i dieci attentati a cui i magistrati di Reggio Calabria sarebbero scampati (dossier-denuncia presentato dagli stessi a gennaio di quest'anno alla Commissione Parlamentare Antimafia); inoltre le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia hanno rivelato l'esistenza di progetti di attentati nei confronti dei giudici Caselli e Lo Forte, che prevedevano modalità di esecuzione particolarmente cruente e tali da suscitare una vasta eco nell'opinione pubblica italiana e internazionale. Le minacce indirizzate nei confronti di un Sostituto Procuratore (impegnato in diversi processi contro la Sacra Corona Unita) della Procura di Brindisi hanno addirittura indotto, per la prima volta, il Consiglio Superiore della Magistratura a disporre il trasferimento del magistrato per motivi di sicurezza.
Non sono mancate le intimidazioni nei confronti di sindaci, imprenditori, forze dell'ordine ed esponenti del clero.
Tra i sindaci, in particolare, sono stati vittime di intimidazioni quello di Terrasini, quello di Casal di Principe e di Brindisi. Anche le Forze dell'Ordine sono state oggetto di azioni intimidatorie. In Puglia, per esempio, si è appreso che la Sacra Corona Unita voleva assassinare un ispettore della Squadra Mobile e un sottufficiale dei Carabinieri, particolarmente impegnati nell'attività di contrasto alle cosche locali. Nell'occasione erano già stati preparati due ordigni sui quali erano stati apposti i nomi dei destinatari. Entrambi gli attentati sono stati sventati.
Ma anche gli imprenditori hanno dovuto fare i conti con le aggressioni mafiose; così come particolarmente "forti", in termini di risonanza comunicativa, sono state le minacce subite anche da alcuni esponenti del clero.
Tra questi, il recente incendio doloso ai danni dell'automobile del "vice" di Don Puglisi (ucciso dalla mafia nel settembre del 1993); questo episodio acquista un significato ulteriore se si considera che si è verificato in concomitanza di un importante incontro organizzato a Palermo dalla Fondazione Falcone in occasione del terzo anniversario della strage di Capaci.
Padre Gino Sacchetti, religioso dell'Opera don Calabria di Termini Imerese (cittadina alle porte di Palermo il cui consiglio comunale è stato sciolto per mafia) si è visto recapitare una busta con tre pallottole: avvertimento tipicamente mafioso.
Ma non solo i sacerdoti siciliani sono nel mirino della mafia. Anche taluni appartenenti al clero della provincia di Reggio Calabria sono stati oggetto di danneggiamenti e di altri atti intimidatori.
Un segnale forte della reazione della società civile è venuto dalla costituzione di LIBERA, associazione di associazioni contro la mafia, nata da un'idea di Don Ciotti e subito sposata da esponenti della società civile di diversa distribuzione geografica.
La lotta alla mafia si fa anche promuovendo nuove politiche sociali che costituiscono il terreno su cui realizzare una continuità tra lotta alla mafia e autosviluppo solidale.
Non è mancata neppure la voce della Chiesa con la proposta di fare "beati" o "martiri" le vittime della mafia.
Anche in questi primi mesi dell'anno i gruppi mafiosi hanno dato prova delle loro strategie aggressive nei confronti dell'economia vero e proprio punto di incontro, nel quale si stringono patti non solo tra organizzazioni mafiose diverse ma anche tra mondi eterogenei: quello imprenditoriale, quello finanziario, quello politico-amministrativo e quello mafioso.
Le indagini concluse dalla DIA nel corso del primo semestre 1995 hanno, inoltre, confermato l'infiltrazione delle coalizioni mafiose nei più diversi ambienti della vita sociale ed economica del Paese e hanno evidenziato nuove collusioni con esponenti del mondo dell'imprenditoria, della politica e delle Istituzioni statali.
Eloquenti in tale senso appaiono i risultati delle indagini condotte nei confronti del clan camorrista dell'ex boss Carmine Alfieri che hanno messo in luce l'attività di fiancheggiamento in favore delle organizzazioni camorriste di alcuni agenti e ufficiali di Polizia Penitenziaria in servizio presso la Casa Circondariale di Salerno. Questa indagine ha dimostrato come fino a tempi recenti gli affiliati alle associazioni camorriste abbiano potuto continuare, talvolta, a perseguire scopi dei sodalizi mafiosi pur in stato di detenzione.
Ancora, le indagini sui gruppi camorristici hanno dato ulteriore conferma dell'esistenza di stretti legami con alcuni politici e imprenditori. In sostanza, i politici mirano a procurarsi un numero elevato di consensi elettorali in cambio di finanziamenti per le necessità personali e per le spese dell'apparato politico. La camorra attraverso l'accordo acquisiva risorse economiche dalle imprese e si garantiva coperture istituzionali. Gli imprenditori, a loro volta, acquisivano quote del mercato degli appalti pubblici.
Eclatanti in tale senso sono stati i risultati delle indagini circa gli intrecci tra imprenditori, politici e camorristi intorno all' "affare CIS" (Centro Ingrosso Sviluppo Campania S.p.A., con sede a Nola). Le indagini hanno toccato da un lato la gestione del CIS e dei suoi spazi e dall'altro i successivi lavori di ampliamento del CIS. Strettamente collegata alla vicenda del CIS è quella relativa alla realizzazione dell'Interporto-autoporto di Nola.
Le operazioni investigative della DIA hanno messo in luce come anche cosa nostra poteva contare sull'inserimento di suoi esponenti nelle attività economiche legate ai pubblici appalti. Ci si assicurava che i lavori venissero aggiudicati a imprenditori scelti da cosa nostra. Opere pubbliche particolarmente importanti riguardavano le province di Palermo, Catania e Trapani. Per quanto riguarda la zona di Palermo, risulta che le imprese venivano scelte in prima persona da Giovanni Brusca, che per ottenere finanziamenti poteva contare su un dipendente della Croce Rossa e su un esponente politico.
D'altro canto dei legami tra mafia e alcuni settori degli apparati pubblici, in questi primi mesi del 1995, molto si è dibattuto, anche in virtù di "pentimenti" eccellenti. Basti pensare, per esempio, alle dichiarazioni di Gioacchino Pennino, esponente politico siciliano nonché uomo d'onore di cosa nostra. Pennino ha accusato il sistema politico-affaristico mettendo in chiaro i legami tra politica e mafia. Malgrado le indagini non siano concluse certo rimangono segnali inquietanti circa le ramificazioni della mafia e la partecipazione ad essa di "colletti bianchi".
Le dichiarazioni di Pennino hanno permesso di conoscere i retroscena di quelle attività mafiose a cavallo tra lecito e illecito grazie alle quali cosa nostra è riuscita ad avere vere e proprie holding economiche e a estendere la sua trama di interessi anche all'estero.
La vicenda del Casinò di Novingrad (piccolo borgo jugoslavo con due casinò di cui uno era stato rilevato nel novembre 1993 da Pennino) è, in tal senso, esplicativa in quanto rappresenta non solo la conferma evidente della presenza degli uomini d'onore nella ex Jugoslavia ma dimostra anche l'esistenza di nuovi comitati d'affari in territori che stanno diventando aree di riciclaggio e di reinvestimento dei capitali di provenienza illecita.
Le indagini condotte dalla DIA sulla famiglia Santapaola testimoniano la capacità delle consorterie mafiose siciliane di organizzare attività economiche illegali disponendo di referenti ad alto livello, e che ne hanno agevolato l'espansione in ambito nazionale e internazionale. Da tale indagine emerge un quadro complesso e intrecciato tra "affari" eterogenei: reati contro il patrimonio, ricettazione di titoli di credito, riciclaggio, traffico illecito di armi e armamenti avente come destinatari il Marocco e l'Arabia Saudita con la mediazione di Felice Cultrera, uomo d'affari internazionale.
È stato possibile dimostrare l'inserimento di persone collegate al clan Santapaola nei circuiti internazionali finanziari: affari che venivano conclusi con alti personaggi, tra cui Adnan Kasshoggi (noto finanziere internazionale), Al Kassar Monzer (faccendiere internazionale di origine siriana, associato a "Fronte di liberazione Palestinese") e Hassan Hennany (è stato segretario del principe Feisal Ben Fahad, figlio del re Fahad d'Arabia).
Il sodalizio criminale Santapaola-Cultrera era riuscito ad acquisire pacchetti azionari di società multinazionali, e assumere la gestione di casinò in Italia e all'estero (attività da sempre appetibile per la criminalità organizzata come canale per il riciclaggio del denaro sporco), e ad effettuare investimenti edilizio-immobiliari all'estero (era in progetto la costruzione di cinquemila appartamenti a Tenerife).
Inoltre l'organizzazione poteva contare su una serie di utili "servizi": certificazioni mediche false così da garantire il singolo associato in occasione di provvedimenti restrittivi in suo danno, avvocati compiacenti per assistenza legale e appoggi logistici in Italia e all'estero.
Il peso delle attività illegali e degli investimenti criminali nell'economia legale è rilevante e come si evince dalle analisi investigative di cui sopra le coalizioni mafiose sono in grado di influenzare in modo inquinante la vita sociale, politica ed economica delle aree da esse controllate.
Com'è noto, le consorterie mafiose agiscono contemporaneamente in entrambi i settori (lecito e illecito) e il denaro prodotto passa circolarmente tra essi.
Tra le attività della mafia che minacciano contemporaneamente le risorse economiche e umane, strumenti privilegiati sembrano continuare ad essere l'estorsione, l'usura e il riciclaggio.



A parte un leggero calo in Campania (-6,8%) rispetto al valore dello stesso periodo dello scorso anno, nel complesso il numero dei reati denunciati è cresciuto, nelle regioni a rischio, del 7,2% (con un aumento nella sola Sicilia del 31,7%).
Questo aumento acquista ulteriore significato se si prendono in considerazione i primi trimestri degli ultimi cinque anni. Durante questo arco temporale, l'aumento nelle quattro regioni in questione è del 43,5%. I dati riportati sembrano indicare non tanto un aumento della pressione "estorsiva" quanto una maggiore fiducia del cittadino nelle Istituzioni, anche perché si assiste a una lieve flessione delle denunce per gli incendi dolosi e per gli attentati dinamitardi (a parte un aumento per i primi in Sicilia e per i secondi in Campania).
Nel corso di questi primi mesi dell'anno continuano a svilupparsi le pratiche estorsive come risulta dal prospetto che segue.
Questi dati possono esser letti come minor utilizzo di minacce quali incendi dolosi e attentati dinamitardi a fini estorsivi, anche se non è da escludere che proprio nell'ipotesi di rendersi meno "visibili" le organizzazioni mafiose possano aver messo a punto tecniche estorsive più raffinate e meno cruente.



Per quanto riguarda l'usura, solo una parte di questa attività risulta essere gestita da gruppi mafiosi, spinti dalla necessità di investire le ingenti disponibilità di denaro proveniente da attività illecite. Il gruppo che si occupa di usura gestisce questa attività attraverso canali informali, oppure attraverso la costituzione di finanziarie istituite per l'obiettivo. In entrambi i casi i vantaggi sono sia quelli di ottenere alti profitti sia di "lavare" grossi capitali "sporchi".
Inoltre, estorsione e usura sono attività illecite che consentono ai mafiosi di minacciare l'economia di vaste zone del nostro Paese con l'immissione di interessi illeciti nell'economia stessa, e ciò per assicurarsi il controllo di imprese commerciali e industriali di media grandezza.
L'usura è un fattore di minaccia all'economia al quale sono vulnerabili in particolare il settore della piccola impresa e quello commerciale. Le vittime di usura sono infatti soprattutto piccoli imprenditori, commercianti ed esercenti in difficoltà i quali, non riuscendo a far fronte agli usurai, si vedono costretti a cedere le loro attività economiche all'organizzazione mafiosa che le utilizza sia per investimento di capitali che per riciclaggio.
Inoltre rispetto al problema dell'usura, un ruolo importante lo gioca la vittima che spesso non denuncia il reato ma anzi in qualche modo contribuisce alla costruzione del delitto rivolgendosi al malvivente: entrando in questo modo in un circuito dal quale è difficile uscire.
La penetrazione della criminalità organizzata nel mondo economico ha raggiunto ormai dimensioni preoccupanti, in quanto le ingenti quantità di denaro, che costituiscono i profitti delle attività illegali, impongono di occultare l'illecita provenienza, mediante riciclaggio.
Sinteticamente, il fenomeno del riciclaggio parte dall'originaria accumulazione di capitali illeciti, gruppo delle attività tipiche della mafia, per passare alla loro trasformazione attraverso l'immissione di denaro "sporco" nei canali bancari e finanziari e, infine, giungere all'investimento di capitali "puliti" in attività imprenditoriali lecite o in altre attività illecite.
Le minacce della mafia alla società civile e all'economia sono da intendersi come interconnesse: per esempio, minacciare un imprenditore ha un fine economico e contemporaneamente di controllo sociale e viceversa una minaccia economica è finalizzata al controllo del territorio.
Le aggressioni delle organizzazioni mafiose possono configurarsi sia in senso stretto come minacce e/o aggressioni fisiche al singolo individuo sia come aggressioni agli interessi economici, qualora coinvolgano i vari settori economico-finanziari.
Si può ormai affermare che i gruppi criminali di stampo mafioso non privilegiano uno specifico settore economico-finanziario. La loro infiltrazione si dispiega ovunque essi riescano a trarre profitto sia in termini di accrescimento di capitali che di "ripulitura" del denaro "sporco".


A differenza di quanto spesso si ritiene, da fenomeni socio-economici e demografici del tutto fisiologici, derivano talvolta conseguenze patologiche fino ad incidere sulla criminalità sia a livello micro sia a livello macro.
Anche nel campo dell'immigrazione clandestina, sono avvertibili processi crescenti di mondializzazione e di globalizzazione, nonché di deterritorializzazione e di riterritorializzazione.
Il differenziale di fertilità, fenomeno demografico, tra la popolazione italiana a crescita zero e le popolazioni del Nord Africa, in rapido aumento, con quelle dell'Europa orientale e di Paesi più lontani, come le Filippine, il Centro Africa, il Sud America ecc., assomma i suoi effetti allo scarto di standard of life, per cui a una ristretta area di povertà relativa in Italia fanno riscontro altrove livelli di vita prossimi alla povertà assoluta e, quindi, alla miseria.
I flussi migratori verso il nostro Paese hanno perciò una duplice consistente e fisiologica causale alla quale si aggiungono ragioni meno rilevanti, come il rifiuto dei giovani italiani ad accettare un lavoro comunque e dovunque, i conflitti etnici, le persecuzioni politiche e così via.
Su queste premesse si innesta la criminalità organizzata internazionale con le sue complesse strutture, la diffusione capillare sul territorio, la disponibilità di ampie risorse finanziarie. Lo stesso progresso tecnologico agevola le organizzazioni criminali che rapidamente e agevolmente si avvalgono dei mezzi tecnici di nuova concezione. Ciò concerne in particolare modo le "comunicazioni" intese sia come scambio di messaggi (radio, telefoni cellulari, ecc.) sia come uso di mezzi di trasporto spesso all'avanguardia, come motoscafi veloci e opportunamente mimetizzati di cui ci si avvale per i tratti a medio raggio.
È per questo che la DIA ha rivolto la sua attenzione sull'immigrazione clandestina nel settore trovandosi di fronte a fenomeni crescenti in quantità e in complessità, per i quali le mafie, di varia provenienza e specializzazione, vanno arricchendo il loro interesse e potenziando le loro strutture.
Le cifre a disposizione, relative agli immigrati clandestini individuati, anche in relazione ai provvedimenti amministrativi e giudiziari adottati nei loro confronti (denunce, espulsioni ecc.), non offrono un quadro esaustivo. In questo settore, l'effetto del "numero oscuro" è particolarmente rilevante; concorrono a formarlo, oltre che gli interessi degli extracomunitari clandestini stessi e delle organizzazioni criminali che si introducono nel territorio (e che, in molti casi, ne gestiscono lo sfruttamento) anche quelli di alcuni cittadini italiani che ne utilizzano la forza lavoro a basso costo e senza alcuni oneri diretti o indiretti (INPS ecc.). Si ha cioè una convergenza tra il vantaggio di cittadini (quasi) onesti, della criminalità organizzata e le esigenze di sopravvivenza degli immigrati.
In Europa in generale e in Italia per quanto ci riguarda, il traffico di immigrati clandestini si aggrava di mese in mese tanto per l'entità delle persone coinvolte quanto per l'intensificarsi di aspetti deteriori. Esso è favorito anche dalle normative vigenti in Italia come negli altri Paesi della comunità europea.
Va tenuto presente che, nonostante gli accordi di Schengen, non si hanno ancora "armonizzazioni" delle legislazioni in ambito comunitario nei confronti degli extracomunitari.
La repressione, per gli illeciti connessi con la pura e semplice immigrazione clandestina, si basa su sanzioni assai più tenui di quelle che concernono particolarmente il traffico di droga e di armi. Le organizzazioni criminali già preesistenti si riciclano spesso passando da un'attività meno lucrosa e più pericolosa a un'altra o affiancando ai precedenti impegni criminosi l'interesse per la nuova "materia prima".
La presenza di strutture organizzate non esclude l'intervento di operatori a livello "artigianale" che, con i propri natanti, imbarcano poche decine di persone sulle coste tunisina o africana, dell'ex Jugoslavia e dell'Albania, per sbarcarle, quasi sempre notte tempo, a Lampedusa, in Sicilia o sulle coste pugliesi.
Tra le grandi organizzazioni criminali operanti nel settore si distinguono le mafie italiana, russa e cinese e, limitatamente all'Adriatico, quella albanese e degli stati della ex Jugoslavia.
L'immigrazione cinese, forse anche a causa della cultura confuciana da cui proviene, cerca di non porsi in evidenza; ciò non toglie che venga sfruttata più metodicamente di quella di altre provenienze. I cinesi necessitano di poco per sopravvivere; si adattano, come avviene a Firenze, a Roma e altrove, a lavorare in locali fatiscenti e antigienici, impegnandosi giorno e notte, spesso con vetuste apparecchiature, sottoponendosi allo sfruttamento delle organizzazioni della Triade e degli imprenditori nostrani.
Altro settore economico di impiego dei cinesi è quello della ristorazione. La quiete delle comunità cinesi è garantita dalla capillare trama intessuta dalle organizzazioni criminali che ne sfruttano il lavoro perlopiù in simbiosi con imprese artigianali o della piccola industria nazionale.
Un aspetto non secondario della presenza degli immigrati, con riflessi sull'ordine pubblico e sugli impegni delle forze di polizia, è costituito dagli attriti di ordine razziale tra extracomunitari e autoctoni o tra le diverse etnie degli immigrati, quando non addirittura al loro interno.
Ai primi del 1995 episodi clamorosi si sono avuti nella zona di Villa Literno tra locali e stranieri quando sono state distrutte le strutture del campo di accoglienza. In provincia di Latina, le ostilità sono state particolarmente virulente contro i marocchini.
L'entità delle tariffe richieste o pagate, per il trasporto in Italia, il miraggio di ottenere un lavoro regolare e migliori condizioni di vita, è tale da porre in essere nuove forme di schiavitù. L'importo viene infatti, spesso, anticipato dagli imprenditori del crimine, nei confronti dei quali il vincolo di soggezione non viene estinto se non con il completo pagamento del debito, evento difficile a verificarsi, per mesi e per anni, per l'impossibilità stessa del clandestino di inserirsi in attività di lavoro regolari o quasi, seppure in "nero". Non è raro il caso del clandestino che, per fronteggiare i suoi impegni e le connesse minacce, è costretto a prestarsi ad attività criminali, a prostituirsi ("lucciole" o "viados") o ad esercitare, come spesso accade ai bambini e agli adolescenti, forme di accattonaggio più o meno molesto.
Il tariffario dei transiti varia a seconda della distanza e della difficoltà e qualche volta in relazione al divario culturale tra Paese di provenienza e quello di arrivo.
Dall'Albania il prezzo va da due milioni di lire; dalla Russia e dai Paesi dell'ex Urss o degli Stati già appartenenti al Comecon ne occorrono oltre tre, mentre da Paesi più lontani, asiatici, africani o sudamericani, si può andare a richieste dai sette ai dieci milioni, come dalle Filippine. La garanzia, per chi rende possibile l'immigrazione anticipandone i costi, è data dal sequestro del passaporto, sotto forma di custodia, o dalle minacce di ritorsione sui familiari, o di segnalazione alle autorità italiane per il rimpatrio coatto.
Ovviamente costo e oneri variano in rapporto non solo alla distanza, ma anche alle difficoltà, come ad esempio per la necessità di attraversare più frontiere.
La "mafia russa" ha le sue centrali a Mosca; quella ucraina, in Kiev; da esse vengono smistati i clandestini del medio e, specialmente, lontano Oriente, verso l'Europa e il nostro paese.
Se il Mediterraneo e l'Adriatico sono le vie di trasferimento privilegiate dai Paesi del Maghreb, dal Medio Oriente e, in parte, dalla ex Jugoslavia, una via di facile penetrazione è costituita dalla così detta "soglia di Gorizia".
Come è noto i provvedimenti di espulsione dei clandestini, nel nostro ordinamento, non hanno esecuzione immediata con l'accompagnamento alle frontiere o con imbarco forzoso su aerei o navi diretti ai Paesi di origine; ciò beninteso sempre che non vi siano delitti tali da implicare più concrete e immediate misure. Il lasso di tempo - da quindici giorni a un mese - che intercorre tra l'individuazione del clandestino e il suo avvio alla frontiera consente all'immigrato di sottrarsi agevolmente alle conseguenze del provvedimento e ciò a prescindere dalla possibilità di ricorrere al TAR.
I tempi lunghi della giustizia amministrativa consentono in pratica l'inefficacia delle normative. Va aggiunto che, ove pure si giunga all'espulsione, molte comunità, bene istruite dalle loro organizzazioni, ricorrono spesso a fantasiosi, ma operativi, espedienti; si è verificato ad esempio che le prostitute nigeriane giunte tranquillamente fino ai piedi della scaletta degli aerei, si siano poi denudate, obbligando i comandanti a non imbarcarle e la polizia di frontiera a portarle in luoghi meno visibili.
Come noto, la normativa, essenzialmente fondata sulla L. n. 39 del 1990, introduceva la novità di flussi programmati di ingresso per ragioni di lavoro e la regolamentazione dell'asilo politico e della presenza degli extracomunitari. Prevedeva di tener conto, con il concerto di Esteri, Interno, Bilancio, Programmazione e Lavoro, non solo dell'evoluzione del mercato del lavoro, ma anche della capacità di accoglimento e delle politiche comunitarie.
La commissione di esperti, costituita nel 1993 dall'allora Ministro degli Affari Sociali, ha lavorato, fino al 1994, producendo una "carta dei diritti e dei doveri" degli immigrati su 172 articoli da tradurre in legge.
La non attuazione della Carta ha consentito alle organizzazioni criminali di esercitare ancora le loro illecite attività.
Negli ultimi anni, come si è detto e per quanto riguarda in particolare la Puglia, si è intensificato l'ingresso di cinesi, curdi e turchi provenienti dai porti albanesi, dove la polizia locale è in qualche caso connivente e comunque la vigilanza è assai scarsa.
Come nel 1994, anche nel 1995 si sono avuti episodi di piccoli convogli di motoscafi veloci difficili da intercettare, sia da parte della Marina Militare che da parte delle forze a terra.
Si vanno delineando nuove forme di comportamenti criminosi, legate allo sfruttamento dei clandestini, accanto a quelle tradizionali della prostituzione e dell'avviamento al lavoro nero. Sulle coste pugliesi e, in minor misura, alla frontiera di Nord-Est gruppi di tassisti abusivi (le loro vetture sono meno identificabili a vista) attendono gli immigrati per trasportarli alla città più prossima o a stazioni ferroviarie o di pullman di linea, richiedendo come minimo centomila lire a persona.
Lo sfruttamento dell'immigrazione clandestina presenta rischi limitati; lo stesso sequestro eventuale dell'imbarcazione viene neutralizzato con polizze assicurative, dichiarandone il furto o la perdita, dal momento che gli scafi sono immatricolati nei Paesi dell'ex Jugoslavia.
Particolarmente grave è lo sfruttamento di bambini e minori, problema già affrontato nel 1992 quando si verificò l'ondata di "invasione dall'Albania".
Per seguire meglio tale fenomeno è stato istituito anche un Comitato per la tutela dei minori stranieri presso la Presidenza del Consiglio (marzo 1994). Va detto, anche, che molti soggetti delle classi di età più giovani non sono immigrati, ma vengono in Italia con un permesso di soggiorno di tre mesi per curarsi dai danni di guerra e miseria. Molti provengono dalla ex Jugoslavia, dal Ruanda e da altre zone dove sono in atto conflitti interetnici; anche numerosi russi e bielorussi sono stati curati in Italia per le conseguenze prodotte dalle radiazioni di Chernobyl.
Sono in aumento i casi di bambini irregolari, di origine slava e albanese, venduti o affittati dalle famiglie ad adulti senza scrupoli; questi ultimi li inseriscono nel giro della prostituzione o li avviano al furto o alla mendicità, riducendoli praticamente in schiavitù.
Si tratta, pertanto, di un fenomeno che tiene costantemente allertate tutte le Forze di Polizia.


Tra le opportunità d'investimento preferite dalla criminalità organizzata, sia come sistema di reimpiego di capitali illeciti sia come esito di una pregressa perpetrazione di attività estortiva diretta, si colloca l'acquisizione di aziende operanti nel "settore commerciale".
La criminalità organizzata, infatti, non esita ad approfittare delle difficili situazioni finanziarie in cui vengono a trovarsi i titolari di aziende operanti in tali attività, a seguito di eventi riconducibili alla crisi economica, agli alti costi d'esercizio, alla concorrenza, all'accresciuto bisogno di credito non soddisfatto in tutto o in parte dalle banche, al ricorso a prestiti degli usurai, nonché alle eventuali estorsioni subite.
Questo preoccupante fenomeno trova riscontro anche nelle inchieste condotte dalle organizzazioni di settore presso i propri affiliati, secondo cui sono sotto il diretto controllo delle organizzazione criminali il:
- 12 % degli esercizi commerciali;
- 15% dei pubblici esercizi (bar, ristoranti, pub, discoteche);
- 20% delle società che controllano sul territorio la grande distribuzione;
- 35% delle 25 mila finanziarie che operano in Italia.
Allo scopo di contribuire al dimensionamento del fenomeno, sono stati considerati i dati, forniti in forma aggregata, relativi al valore e al numero di atti registrati presso gli Uffici del Registro, aventi ad oggetto le compravendite di aziende operanti nel comparto "attività commerciali".
L'indagine è stata estesa all'ultimo quadriennio: i dati sono definitivi per gli anni 1991-1993, sono invece da considerare parziali - e quindi soggetti a variazione in aumento o in diminuzione - i valori relativi al 1994.
Nell'ambito del comparto "attività commerciali" - che comprende il commercio all'ingrosso e al dettaglio e "altre attività commerciali" - si è ritenuto focalizzare l'attenzione sul settore del commercio al dettaglio, in quanto risulta più soggetto agli effetti pervasivi della forza di intimidazione "morale ed economica" della criminalità organizzata.
Queste imprese, normalmente a conduzione familiare, non richiedono l'impiego di ingenti capitali per l'attivazione e la conduzione dell'attività. Sono dunque entità produttive i cui meccanismi, di fragile e delicato equilibrio, non sono sempre in grado di opporre una forte resistenza all'urto degli interessi del crimine organizzato.
Sovente anche una breve contrazione della domanda del bene o del servizio offerto al pubblico, limitata all'arco di tempo di una fase di recessione congiunturale, può rappresentare una causa estintiva di tali imprese.
Si attiva un processo di rapida spiralizzazione della crisi aziendale. Una congiuntura sfavorevole comporta una contrazione della domanda, alla quale però non segue una riduzione dei costi fissi e tra questi si aggiunge talvolta l'onere del "pizzo", che ha tutte le caratteristiche di un costo fisso, sia pur non contabilizzabile.
Per far fronte ai costi, il dettagliante in prima battuta, quando può, aumenta l'indebitamento nei confronti del sistema bancario, il quale, per effetto della conseguente politica monetaria restrittiva, può offrire denaro solo a tassi via via più onerosi.
Da qui ad incappare nel sistema delle concessioni di credito a tasso usurario, il passo è breve. Talvolta l'unica via d'uscita è svendere l'esercizio.
La posizione debole del cedente influisce non poco sul prezzo di cessione reale, e probabilmente, ma in misura più limitata, in quello dichiarato in atti.
Ma la relazione tra infiltrazione della criminalità nel settore e il prezzo di cessione degli esercizi non comporta sempre l'effetto di uno svilimento del prezzo.
La disponibilità talvolta di ingenti risorse che necessitano di essere reimpiegate, allo scopo di dissimulare l'origine illecita dei fondi, consente al crimine organizzato l'acquisto di floride aziende, possibilmente lontano dall'area di perpetrazione del crimine. In tal caso le modalità di acquisto dell'impresa dovranno essere tali da apparire normali in tutti gli aspetti: è facile che il prezzo di cessione sia influenzato in questi casi, non dalla coazione fisica sul cedente, ma dalle lusinghe economiche che il cessionario - forte dei suoi capitali sporchi - esercita sul venditore.
Da qui l'esigenza di monitorare in particolar modo i "picchi", sia dei prezzi inferiori alla media sia di quelli superiori ad essa.
La compravendita di esercizi commerciali è un mercato che ha un giro di 1.600-1.700 miliardi di lire all'anno. È lecito presumere che in realtà il giro d'affari sia ancora più elevato, posto che la dichiarazione in atti del valore delle cessioni d'azienda ha dei risvolti di carattere fiscale.
Si tratta di un mercato caratterizzato da un sostenuto livello di rotazione delle proprietà, quasi 29.000 cessioni nel 1994. Ma nel 1992 furono addirittura più di 34.000: in Italia, quell'anno, ogni giorno 94 esercizi mutavano il proprio assetto proprietario.



Il dato complessivo è fortemente influenzato dal numero di cessioni di aziende esercenti il commercio al dettaglio (53-54% del totale delle cessioni). Le cessioni relative al comparto "altre attività commerciali" oscillano tra il 38 e il 40%; intorno al 7% le cessioni di aziende esercenti il commercio all'ingrosso.



Il settore del commercio al dettaglio

In Lombardia, ove è presente la più alta concentrazione di imprese attive, si registra il più alto numero di cessioni di esercizi operanti nel settore. Segue il Lazio, nel 1991-1992, e la Campania negli anni seguenti.
Come si evince dal grafico seguente, la tendenza è verso una generale contrazione del numero di cessioni. Ferme restando le opportune valutazioni di carattere puramente economico, è probabile che tale tendenza, in quanto indice di maggiore stabilità del settore, sia in realtà la risultante anche della progressiva incisività delle azioni penali condotte in materia di reati di estorsione e usura, soprattutto a causa dei sempre più frequenti casi di collaborazione dei soggetti passivi del reato e alla meritoria opera di sensibilizzazione delle associazioni di categoria. Tutte situazioni che hanno forse offerto minori situazioni in cui un dettagliante abbia ritenuto necessario privarsi della propria azienda.




In controtendenza appare però il dato fatto registrare nel 1993 nella regione Campania (1.879 cessioni, + 7,86% rispetto al 1992). La crisi economica che ha colpito la regione, come il resto del Paese, non sembra sufficiente a spiegare l'elevato numero di cessioni, sebbene il fenomeno appaia compensato da un calo nell'anno successivo (ma i dati del 1994, è bene ricordarlo, non sono definitivi). Non può escludersi invece una relazione diretta col fenomeno del racket e dell'usura, fenomeno certo non nuovo nel Meridione e, in particolar modo, in Campania (solo nell'anno 1993 furono presentate 784 denunce per estorsioni e 293 per usura).
Basti pensare che proprio in quel periodo (gennaio 1992 - dicembre 1993) al comitato del fondo di solidarietà per le vittime dell'estorsione pervennero 119 istanze per una elargizione a ristoro dei danni subiti, 90 delle quali furono presentate da operatori economici delle regioni a più alta densità mafiosa. In particolare, ben 11 provenivano dalla Campania. A livello nazionale a fronte di un costante aumento nel tempo del valore complessivo degli atti di compravendita di esercizi commerciali, si è rilevata una sensibile contrazione del numero degli atti. Ne consegue pertanto un aumento del valore medio di ogni atto (prezzo medio di cessione), da poco più di 54 milioni nel 1991 a quasi 61 milioni nell'anno 1994.
Il seguente grafico compara i dati nel tempo, assumendo come 100 i dati relativi all'anno 1991, considerato come anno base.




Il prezzo medio di cessione più elevato è stato registrato nel 1991 e nel 1994 nel Trentino Alto Adige (L. 91.983.000 e L. 101.511.000), mentre nel 1992 e nel 1993 in Valle d'Aosta (rispettivamente L. 92.379.000 e L. 99.398.000).
Al contrario le regioni con il più basso valore medio di cessione per esercizi di commercio al dettaglio risultano essere nel 1991 e nel 1993 la Campania (rispettivamente L. 28.279.000 e L. 32.693.000), nel 1992 e nel 1994 la Calabria (L. 30.448.000 e L. 33.955.000).
In pratica un esercizio di commercio al dettaglio viene venduto al nord circa 3 volte il prezzo medio relativo ad un esercizio collocato nel Meridione.
Il successivo grafico mette a confronto i valori medi di alcune regioni campione con quelli relativi alla media nazionale.






È stata posta attenzione anche ai fenomeni di particolare oscillazione del prezzo medio di cessione. Le variazioni più sensibili emergono soprattutto per le regioni e le provincie di minori dimensioni ove il ridotto quantitativo di cessioni può influenzare non poco la media annuale. A titolo di esempio, si cita la provincia di Oristano dove, assumendo come 100 il prezzo medio nazionale del '91, la variazione tra 1991 e 1992 è pari a -137,8; mentre è -60,2 nel 1993 rispetto al 1992 e -69,3 relativamente alla differenza tra il 1994 e l'anno precedente.
Più significative sono le oscillazioni nell'ambito del quadriennio 1991-1994.



Analisi delle oscillazioni dei dati relativi alle compravendite di aziende esercenti il commercio al dettaglio

a. anno 1991
Sono stati presi come base di riferimento iniziale i dati relativi all'anno 1991; un'analisi in prospettiva consente di individuare due situazioni particolari nel Trentino Alto Adige e in Calabria.
Circa la situazione del Trentino Alto Adige è da rimarcare come il volume delle relative cessioni rappresenta il massimo dell'ultimo quadriennio. Più in particolare emerge che la differenza scaturisce dall'elevato prezzo di cessione degli esercizi dislocati nella provincia di Trento. Infatti nel 1991 per 105 cessioni di aziende trentine fu corrisposto un controvalore di circa 11,5 miliardi, a fronte di dati notevolmente inferiori relativi al 1992 (8,7 miliardi per 118 negozi).
Relativamente alla regione Calabria, anche qui occorre puntualizzare come, nell'anno 1991, si registri il controvalore massimo di cessioni delle aziende del tipo in esame.
b. anno 1992
Rispetto all'anno precedente, su scala nazionale si verifica un decremento pari al -0,92% nell'ammontare del valore delle compravendite di aziende. Più sensibile invece la contrazione del numero degli atti stipulati aventi ad oggetto la cessione di attività esercenti il dettaglio (-1,48%).
A tale valore percentuale si giunge attraverso punte che vanno dal +71,31% del Molise al -21,01% del Friuli Venezia Giulia.
Rilevanti sono inoltre i valori relativi all'Umbria (+23,33%), Basilicata (+22,11%) e Sardegna (+22,03%).
In effetti i valori registrati in Molise, Umbria, Basilicata e Sardegna sono, per tali regioni, dei picchi massimi per il periodo (1991-1994) considerato.
A livello provinciale il valore medio di cessione più alto è stato registrato nel comprensorio di Bologna (L. 114.078.000). Seguono Aosta, Bolzano e Isernia.
I valori più bassi sono appannaggio delle province campane, calabresi e siciliane: Benevento con L. 20.673.000, seguono Reggio Calabria, Trapani e Napoli.
c. anno 1993
Rispetto all'anno precedente, su scala nazionale si verifica un ulteriore decremento nell'ammontare del valore delle compravendite di aziende esercenti il commercio al dettaglio (-1,37%). Notevole risulta invece la contrazione del numero degli atti stipulati (-7,73%).
A tale valore percentuale si giunge attraverso punte che vanno dal +38,92% del Friuli Venezia Giulia al -19,50% del Molise.
Rilevanti sono inoltre i valori relativi alla Sicilia (+22,59%), Puglia (+19,54%) e Calabria (+16,68%).
A livello provinciale, il valore medio di cessione più alto è stato registrato, come nell'anno precedente, nel comprensorio di Bologna (L. 109.011.000). Seguono Aosta, Bergamo e Cremona. Le prime provincie del centro e del sud sono Bari (12%) e Caltanissetta (14%).
I valori più bassi sono appannaggio delle provincie campane (Caserta con 27.791.000 e Napoli con 29.649.000). In Campania però appare alquanto anomala la "quotazione media" relativa alla provincia di Avellino: L. 71.805.000 che rappresenta circa il doppio dei valori medi di cessione degli altri anni.
d. anno 1994
I dati relativi a questo anno sono provvisori, in quanto soggetti a verifica per quanto concerne l'esatto inserimento nel settore di appartenenza (ad es. nel settore "altre attività commerciali" piuttosto che in quello del commercio al dettaglio), oltre che per quel che concerne il valore dell'atto che può essere sottoposto a rettifica dai competenti uffici fiscali. Pertanto ogni valutazione circa eventuali anomalie riscontrate merita, più di ogni altra, una successiva e approfondita verifica.
Innanzitutto vi è una sostanziale conferma del trend rilevato negli anni precedenti: si riduce il valore totale degli esercizi al dettaglio ceduti, ma si riduce ancor più il numero degli atti.
Infatti, rispetto all'anno precedente, su scala nazionale si verifica un ulteriore decremento nell'ammontare del valore delle compravendite di aziende (-2,47%). Maggiore risulta invece la contrazione del numero degli atti stipulati aventi ad oggetto la cessione di attività esercenti il dettaglio (-6,69%). Ne consegue che ogni atto del 1994 ha avuto un controvalore medio di L. 60.783.000, superiore del +4,47% rispetto all'anno precedente.
A tale valore percentuale si giunge attraverso punte che vanno dal +39,44% del Trentino Alto Adige al -26,48% delle Marche.
Rilevanti sono inoltre i valori relativi, per un verso, all'Emilia Romagna (+26,36%), Basilicata (+19,62%) e Sardegna (+18,77%), per l'altro, alla regione Umbria (-21,94%).


Considerazioni

Va premesso che l'applicazione dell'analisi statistica alle investigazioni sulle realtà criminali non si pone lo scopo di dare risposte certe.
È un tipo di ricerca che raggiunge invece lo scopo di selezionare, attraverso l'individuazione di anomalie statistiche, nuovi percorsi d'indagine, anticipando, se possibile, la soglia di percezione dei reati (la denuncia, l'informazione, ecc.).
Una successiva fase a quella dell'analisi è appunto l'individuazione delle cause delle anomalie e la verifica delle ipotesi postulate.
In particolare risulterà interessante verificare se si sono solo ragioni locali di carattere economico, o di altra natura, per cui in Campania nel 1993 si è rilevato un aumento del numero delle cessioni di esercizi al dettaglio, o se invece tale circostanza dipende, o dipende anche, dal continuo e forse maggiore perpetrarsi dei reati di usura ed estorsione che sono rimasti nel silenzio del soggetto passivo per paura di ritorsioni. Così pure andrà verificata se la quanto mai anomala situazione della provincia di Avellino dipenda solo da alcuni regolari atti aventi ad oggetto esercizi al dettaglio di uno standing più elevato rispetto agli anni precedenti e successivi, o se all'anomalia sottostanno altre ragioni suscettibili di approfondimento investigativo.
E inoltre andranno ricercate le ragioni della discordanza tra l'andamento negativo della Campania e quello positivo del prezzo medio di cessione fatto registrare nelle altre regioni a rischio (Sicilia, Calabria e Puglia): in particolare, se la eccessiva sottovalutazione del prezzo di cessione di esercizi al dettaglio dislocati in Campania sia direttamente connessa con le prevaricazioni della criminalità, soprattutto nelle provincie di Napoli e Caserta.
La verifica ovviamente non si richiede solamente per le regioni c.d. "a rischio". Ma, anzi, appare ancora più opportuna nelle altre regioni del Paese, sia allo scopo di eliminare deleteri falsi allarmi - qualora l'anomalia non assurga al rango di indizio di penetrazione della criminalità nel settore - sia, in caso contrario, per esercitare un'azione tempestiva ed efficace di repressione dell'emergente fenomeno criminoso.
Ci si riferisce in particolar modo a quanto emerso circa la (relativamente) bassa quotazione degli esercizi al dettaglio dislocati nelle provincie della riviera romagnola ed estense.
In merito si rende necessario verificare se sussista una relazione tra la circostanza sopra riportata ed elementi informativi, divulgati a suo tempo dalla stampa nazionale, riguardo l'interessamento di alcune cosche meridionali ad operare ingenti investimenti nella zona, attraverso una prima fase legata all'usura, con rilevamento terminale di attività commerciali.


(*) Stralcio dalla parte prima

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